Non ho conosciuto di persona Aldo Loris Rossi, architetto, urbanistica e paesaggista napoletano, autore di una scrittura progettuale che non finisce con la sua morte (avvenuta nel 2018), ma continua la sua lezione magistrale in termini di fantasia, scienza e coscienza. Napoletano doc, si può dire che ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di pubblicazioni, di costruito, di progetti vivi e vegeti e di suggerimenti che valgono una sua elevazione all’olimpo delle menti fervide, che una volta si dicevano superiori e lo sono.

Riguardano l’area flegrea, quella vesuviana, quella del centro storico, in una capacità sintattica di collegare il particolare al generale e viceversa. Napoli nel suo linguaggio, è verticale e irraggiungibile, ma anche, una grande incompiuta, maestosa e fragile, stretta in un piccolo territorio, incapace di dare veste decente ai Quartieri e sempre in bilico di nuovi rinascimenti, rovinose cadute, grande cultura e folclore sbraitante. Non l’ho conosciuto di persona, ma l’ho ascoltato per anni in una sua rubrica su Radio Radicale, in cui disegnava, quelli che sono i vettori della modernità e cioè, proiettarsi nel futuro non lasciandosi niente, dietro, neanche i laceri e gli scarmigliati; lui imponente e maestoso come lo sanno essere i napoletani alla Raimondo di Sangro, alla Vincenzo Cuoco, alla Eleonora Fonseca Primentel, per arrivare a Benedetto Croce e Gerardo Marotta.

Aldo Loris Rossi è la specularità di Anna Maria Ortese e di Curzio Malaparte, ma è una voce per l’Italia tutta, che nell’arte, nella creatività, nello stile, poggia le sue basi ed eleva le sue altezze, facendo sistema e in questo ha bisogno di napoletanità, come dimostrano le stazioni della sua metropolitana, le vette del suo centro direzionale.
E servono artisti creativi, come lui, parimenti scienziato.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO