Conosco Mario Bellini, dagli anni della mia milanesità, con una frequentazione intensa del suo studio e del suo salotto. Siamo negli anni ottanta, anni di sole e bel tempo, in cui si pensava che tutto si potesse fare, sulla via del bello, del benessere, della felicità. Anni di yuppismo, di successo, ma anche di tanto intenso e serio lavoro, senza la cappa di pessimismo che, oggi, non intende diradarsi. Per Mario Bellini, non c’è nuvola che sia tento grande da oscurare l’ampia area della sua creatività, dagli anni della Rinascente a quelli della Renault, passando per quelli della Olivetti, quando ebbe a disegnare il primo personal computer del mondo. E via andare, per restauri magnificenti, come quello del Grattacielo Rosso di Trieste. Il suo studio/laboratorio è una grande officina, dove si continua a far nascere per dare stupore, quello che gli ha comportato, per ben otto volte, il premio Compasso d’Oro, un riconoscimento dato alla capacità di coniugare ingegneristica, tecnologia avanzata e fascino della forma.

In quell’itinerario, cominciato con Nathan Rogers, Giò Ponti e Portaluppi, una responsabilità di primato a tutto tondo, dall’oggetto, all’edificio, alla città, al paesaggio, con una continuità sapienziale ricca di pixel, feconda di nuovi traguardi che vengono dalle idee di un individuo geniale, connesso ad una comunità, dove parole e langue, sono fatte una per l’altra e ne è testimonianza la direzione “eterna” di Domus, dal 1979 al 2019, con uno sguardo rivolto a sé e agli altri, con un’idea del mito, della leggenda, a del fondare il reale. Mario Bellini oggi, ha lo stesso sorriso e la stessa intelligenza intuitiva di sempre. Per lui, la memoria, il già fatto, non sono un peso, uno spettacolo che attende replica, ma una tradizione del nuovo, uno stimolo a superare e superarsi, perché non c’è traguardo all’orizzonte; esso è solo un impulso alla vista e man mano che s’allontana, gli chiede di fare di più e meglio.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO