For the love of the God, a tradurlo in italiano, di altri tempi, all’esclamazione di una qualunque nonna, e invece si tratta di un’opera del 2007, di Damien Hirst, a forma di teschio umano, ma fatto di platino e tessuto (si fa per dire) con un numero impressionante di diamanti, ben 8601, compreso quello rosa a forma di goccia, posto sulla fronte, ma per non farsi mancare nulla, soccorrono denti umani veri. Si tratta di un provocatore richiamo alle antiche reliquie delle nostre chiede, che in epoca di controriforma, vissuta nel terrore del peccato e della colpa, ammoniva sulla vanità della vita corporale e sullo splendore della vita eterna. D.H., di cui tutti ricordano il carattere ribelle, indurito da una famiglia rude e senza padre, con la madre depressa, che lo ha reso quel che è, un funebre, un barocco dei trionfi della morte, ma provvisto di senso della sorpresa, capace di rivestire ogni sua attenzione, con i panni dell’imprevisto e dell’incognito.

Appunto quello che ha ottenuto con la sua intervista al ”New York Times”, in cui ha dichiarato, che la mitica vendita ad un gruppo di investitori sconosciuti, non era vera per niente. L’opera si è sempre trovata e si trova, in un caveau di Londra, a sua disposizione e di sua proprietà. Il balloon, coinvolge anche la mitica White Cube, che sarebbe stata la mediatrice della vendita.
Oggi, lui ci dice: “Mai avvenuta la vendita”. Non possiamo dire se dica il vero o dica il falso. Ma la sua parola non è credibile, perché non abbiamo prove, né pro né contro. È irrilevante, conta il fatto che tutti abbiano creduto alla vendita, per 100 milioni di dollari, ottenendone un clamore che nessun investimento pubblicitario, avrebbe potuto ottenere (gratis) ed ora ripetendola con una semplice (sic) intervista che riapre una querelle antica, sull’uovo e sulla Gallina, mentre spettacolo e medialità si mettono in moto.
E tanto basta!

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO