Lo spunto corposo mi viene da Bruno Ceccobelli. Il titolo del suo intervento (gennaio 2024 su Arts Life). “Quando l’arte diventa idolatria”. Un frammento metodologico che non esito a definire essenziale, nella sua spiritualità e nella sua antropologia, perché ridefinisce molti criteri divenuti automatici, nella storia e nella storiografia della nostra modernità avanzata. E con essa, intendo tutta la vicenda umana che, nella misura in cui desta interessamento e innamoramento, diventa nostra “prossima”, contemporaneità e non definizione di una modernità più vicina a noi, che giudico sconnessa e anti culturale, ma dentro la struttura dell’affinità elettiva. La vicenda dell’arte, intesa come specularità interiore ed esteriore del sapiens, è legata al bisogno umano di collaborare alla creazione, con la sua capacità di suscitazione dell’immaginario, che si chiama invenzione.

Non creazione, perché creazione è il modus che avviene ex nihilo, che può appartenere a chi ha nominato la luce e la trasparenza, ad una entità suprema, che non existe, ma permette a noi di existere, vedendo nunc per speculum et in enigmate, tunc autem…facie ad faciem. Lui crea, noi inventiamo.
Nella scoperta della sintetizzazione mnemonica, nell’oggi, che sta divenendo memorioso (riprendendo una metafora di Borges), di tutta la storia e di tutta la preistoria, dalla luce light dei grattacieli di Dubai, all’oscurità appena scalfita delle grotte millenarie.
La dialettica implicita è quella di icona e idola, individuando nella prima, l’ascensionalità nel simbolo, nella ricerca dell’ignoto, della monologia del sapere e relegando nella seconda, la superstizione occultistica della materia illusoria nella diabolicità ontologica.

Là dove icona è vita della vita, idola è morte nella morte.
I corsi e i ricorsi umani, che non sono una farneticazione di Gian Battista Vico e nemmeno lo è la grecità dell’eterno ritorno, e la monotonia della anularità e delle annualità, ma una delle facce dello scorrere perpetuo di Eraclito, appartengono ad una spiralità umana, quella studiata da Bergson, non ripudiata dai sapienzialità brahmanica dei Veda e dalla saggezza del Budda, postulano una strutturale concavità e convessità della nostra veglia e del nostro sogno, come insegna ( in un presente mai diventato passato o trapassato) il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, suggestivamente inverato negli scritti scientifici di NIels Bohr, di Werner Heisenberg, di Robert Oppenheimer. Come a dire che alfa e omega si toccano, oppure come i due teologi di Borges (Aureliano e Giovanni di Pannonia) che nella mente del Supremo, sono una cosa sola; che alpha e omega, distinti nella nostra mente, che può pensare l’eterno e l’infinito e persino l’unità, l’unicum, non le può immaginare, perché noi divini sì, ma solo una parte del tutto, che ci trascende: un giorno ci stupiremo e poi comprenderemo; ma non saremo più, io, tu, noi, voi, ma post individui nel tutto. Totus expellet partem. Perché, caro Bruno, verità e libertà non sono sorelle. Sarebbe follia chiedere libertà nella verità. Ma per noi la libertà è l’unica strada per inseguire la verità, nostro orizzonte. Nunc et semper.!!!

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO