Vedere la città de L’Aquila è una gioia per gli occhi, per il cuore, per la considerazione di noi stessi . Intanto non è solo un cantiere, ma è anche un cantiere, in cui l’antico, lo storico, risorgono con l’aiuto della tecnologia più avanzata, facendo un grande concerto, in cui il passato vero è di vibrante attualità. Ho assistito ad una prova di evacuazione, da segnale di allarme, come l’avrei immaginato ad altri paralleli… con grande professionalità dei gilè gialli e disciplina di impiegati, visitatori, politici, a defluire da un Palazzo della Regione. Ho visto un centro storico a testa alta, con il tanto fatto e quanto resta da fare, messo in sicurezza e ovunque tornare la vita, da città aristocratica e pulsante di architetture affascinanti, che stanno reagendo al danno subito, con una impennata di orgoglio, senza sofisticherie da bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Nella storia non c’è traccia di bicchieri pieni e basta, di tutto bene, tutto fatto, ma di officine di lavoro, di progetto, di costruzione, che è spesso ricostruzione, come lo è qui, ma con entrambi gli occhi, non strabicanti e ben focalizzati.

Un esempio. Palazzo Ardinghelli diventato museo del presente e del futuro, con Nunzio e Spalletti che fanno da architettura concorrente, integrandosi spazialmente con la stilistica dell’edificio e poi Boetti, Paolini, Garutti, Maria Lai e tanti altri, che fanno sorpresa, in ogni stanza del suo circuito fantastico reale. Il tutto viene dal Maxxi di Roma… e va bene una gemmazione, ma conviene auspicare che diventi Maxxi.
L’Aquila, de nomine et de facto, autocefalo, perché cosi deve avvenire, per i figli che non possono rimanere tali a vita, ma devono diventare padri a loro volta; altrimenti si cade nella controcultura, senza fretta, con il tempo necessario, ma inesorabilmente, per evitare il rischio di essere un prodotto di filiera, di minorità ripetitiva. Intanto, in alto, in alto, in Maxxi.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO