La querelle tra il vecchio e il nuovo, in un paese come l’Italia ricco di storia e di documenti di tutti i tipi, possibili e immaginabili, è all’ordine del giorno e non si esaurisce mai, con argomentazioni valide da tutte le parti, che definirle due, sarebbe molto riduttivo, in quanto le sfumature, a volte minimali, a volte vistose, sono tante, tante da configurare, spazi, visioni e posizioni, che spesso finiscono con l’ostacolarsi tanto da annullarsi reciprocamente, condannandoci ad una improduttiva stagnazione. Si è venuta a creare una polemica di veti, che impedisce, per esempio, la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, opera che cambierebbe l’immaginario italiano nel mondo, riconsegnandoci un ruolo di protagonisti, che rischia di essere coniugato solo al passato. Eppure non difettano, né le idee, né gli strumenti tecnologici, né gli uomini, ma dobbiamo aspettare le catastrofi, come la caduta del Ponte Morandi, per fare a tempo di record, il Ponte San Giorgio a Genova, o l’eccezionale acqua alta a Venezia, per completare la diga mobile del Mose, a cui mancava una quisquiglia, ma mancava da anni e anni.

Ho letto un’intervista oracolare di Renzo Piano, sul “costruire di continuo” senza lasciarsi imbambolare dai luoghi comuni, di supercontrolli e tanta burocrazia, oltre che da un reazionarismo concettuale, secondo cui tutto è stato fatto e non ci resta che piangere. Così, l’uomo del Centro Pompidou, del Vulcano Buono di Nola, della Torre di Torino, si è dovuto a lungo fermare, sul suo Auditorium di Roma, definito “brutto”, da cattivi estimatori, che pensavano ad un edificio qualsiasi e non ad una poderosa macchina leonardesca, per vivificare e ascoltare la musica. Perché questo avviene e avverrà sempre di più, a forza di frapporre ostacoli, all’uno e al tutto, impedendo il diffondersi di una fervida e intelligente concezione del nuovo, imbalsamando e imbalsamandosi, mentre oggi, più che mai occorre intelligenza e fantasia.

KLESSIDRA | A CURA DI FRANCESCO GALLO MAZZEO