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Klessidra | Nato Frascà. La forma. L’informe.

É morto da qualche anno, 2006, ma la sua attualità è fantastica, graffiante, sia dal punto di vista delle cose fatte, che da quello delle teoriche e speculative. Insomma, immerso fino in fondo nella modernità fluida, tendente sempre più alla liquidità, il suo fare è sempre stato connesso strettamente col pensare, in quanto, per lui, la gestualità non è mai automatismo, ma sgrammaticatura programmata, che è quella che lo porta all’elogio dello scarabocchio, inteso come strumento di analisi di sé e degli altri, quindi alla concezione di una forma liberatoria, di inibizioni, di frustrazioni, divenienti così uno strumento sui generis di terapia mentale. Perché, sosteneva che, se l’arte può ammalare, come testimoniato dalla sindrome di Stendhal, essa può anche guarire, dando così origine ai tanti percorsi sperimentali, formativi e attuativi di “arte terapia”, che, anche a mio avviso, devono essere maggiormente culturalizzati con una specificità psicologica, di quella che lui chiamava psiconologia, una scienza tutta da scrivere e sistematizzare, in quegli ambiti in cui il disagio mentale sia frutto di solitudine, di sindrome saturnina e non dovuto a fattori distorcenti e patologici dell’apparato celebrale, che è il luogo dove si situa la mente. L’incipit in questo campo aperto, di Nato Frascà, è una sintesi mirabile di invenzione e scoperta, in cui la manualità è l’espressione facturale di una complessità, a vari gradi di fisiologia, a vari gradi di patologia, con un confine mobile e poroso, di reciproca scambievolezza, in andata e ritorno

Klessidra | G.D.D. Sumero. Eterno.

Gilgamesh incontra Urvasi e così annulla ogni forma di archeologia del passato, ogni chimera del futuro. Tutto è! Gino (De Dominicis) vede nell’immaginario della mente, per due terzi divino (in ogni caso, imperscrutabile e simbolico) per un terzo umano (speculare ed enigmatico) e cerca la strada che dalla mortalità, porta all’immortalità. La trova e con essa procede. La ricorda e con essa convive. Ne fa opera e con essa factura. La nomina e con essa fa suono. La tocca e ne trova tesoro. Così per tutto un tempo, per tutto il suo tempo. Nome, per lui, è Nume, è Uruk. Paesaggio è Gaia, è Giardino. In esso, c’è anima concreta: argilla, sabbia, fango. C’è anima astratta: sogno, immagine, visione. Leonardo (da Vinci) nei Principia dice che tutto è indefinito, mutevole, come fossero reali diversi, occhi diversi: onde e delfini, nuvole e cavalli, fulmini di vita,
oscurità d’ignoto. Arte è artificio, unica, unico, impressione, fenomeno, invisibile noumeno. Apparizione e novità. Memoria e archè. Topos è lirium. Logos e delirium, tradotta di segni e congegni, perché selva diventi giardino, urbe, viaggio, vero non vero, vero più vero del vero; oppure, ombra da ombra, nero più nero del nero, un nulla

Klessidra | Arnaldo. Pomodoro. Michelangelo. Moderno.

Con la morte di Arnaldo Pomodoro si conclude un’era artistica di spessore michelangiolesco, berniniano, canoviano; l’era dei due duetti, quella dei Cascella e dei Pomodoro, un punto di riferimento della stagione degli artisti della scultura italiana del Novecento, annunciata dalla conspiratio oppositorum dei Bistolfi e dei Medardo Rosso, resa palese dalla grandiosa e puntuale firma di Arturo Martini, Francesco Messina, Giacomo Manzù, ma anche dalle spumeggianti figure di Carmelo Cappello, Pietro Consagra, Umberto Mastroianni

Klessidra | Andrea Volo. Colore. Psiche.

La sua pittura è composta dai capitoli di un romanzo visivo che si sviluppa secondo un articolato intreccio di temi e argomenti, in uno svolgimento poetico e sapienziale connesso a una valenza ritmica moderna, in sintonia con lo sviluppo di un’intuizione immaginaria, sempre sospesa nei continui cambiamenti che si innestano gli uni sugli altri, ma poi trovano un loro equilibrio. Tutto diventa più piano, più lento, e si presta meglio a una visibilità tutta mediata, che permette la sera del giudizio e il giudizio della sera